Il naming di aziende, domini, prodotti e servizi. Alcuni consigli per trovare un nome efficace ed evitare errori imbarazzanti
Ogni imprenditore ha vissuto il momento di dover dare un nome ad un nuovo prodotto e servizio. Come lo chiamo? Suona bene? Si fa ricordare? sono le tre domande ricorrenti, a cui si risponde con un misto di esaltazione ed angoscia.
Solitamente si ricorre a nomi abbastanza scontati, composti mischiando le iniziali dei cognomi dei soci; altre volte si improvvisa, prendendo a prestito l’idea da qualche serie televisiva o storpiando qualche nome famoso. Pagare un copywriter per ideare un naming efficace, infatti, è ritenuto superfluo da molti piccoli o medi imprenditori, che hanno aziende con un mercato prevalentemente locale.
Il nome, invece, è importante per tutti: grandi e piccoli, e bisogna stare attenti a quale si sceglie. Un buon nome serve a differenziare l’azienda dai suoi concorrenti e ritagliarsi un proprio spazio nella preferenze dei consumatori, fino a diventare, a volte, simbolo di un’intera categoria di prodotti. Al contrario, un pessimo naming o peggio, un naming che ha dei significati negativi non valutati fino in fondo, può avere effetti deleteri sull’attività aziendale. Ed è da qui che vogliamo partire.
Le conseguenze, gravi e non, di un nome sbagliato
A Napoli veder passare una Volkswagen Jetta, ha prodotto, per molti anni, battutine e qualche gesto di scongiuro più o meno esplicito.
Per chi non lo sapesse, a Napoli, Jetta non è solo la radice di parole legate alla sfortuna, come Jetta-tore, ma anche la radice del verbo buttare. Quindi l’ironia sulla macchina e sul rispettivo proprietario si sprecavano: jetta-tore, jetta-la (buttala).
Ovviamente per la Volkswagen questo è privo di conseguenze, perché l’errore è limitato, poco comprensibile al di fuori della città, e in fin dei conti Napoli è un mercato troppo piccolo per porsi problemi di questo tipo.
Ma non sempre è così. Ci sono alcuni casi in cui un naming sbagliato ha costretto le aziende a pericolose marce indietro, con conseguenti costi di immagine e denaro. Per restare nell’ambito automobilistico, l’ultimo caso in ordine di tempo è stato quella della Fiat Gingo, ritornata a chiamarsi Panda perché il nome era troppo simile a Twingo.
I francesi hanno minacciato cause miliardarie e la Fiat ha cambiato subito idea. Senza dimenticare che anche la Panda costò alla casa torinese una “generosa” offerta al Wwf. Si tratta di casi che per le aziende potremmo definire imbarazzanti ma soprattutto molto costosi.
Sesso e naming: brevi storie di molte brutte figure
Sapete cosa può significare per un’azienda che lancia un prodotto sul mercato dover rifare la campagna pubblicitaria, le brochure, il marchio, le etichette, le confezioni, le insegne dei rivenditori e tutto il resto?
Come è accaduto alla Mitsubishi quando ha deciso di lanciare in Sudamerica la sua Pajero 4X4. Sono andati un po’ leggeri e presi dall’entusiasmo non si erano accorti che Pajero nello slang dei sudamericani significa “persona adulta che ama autogratificarsi sessualmente”. Così hanno deciso di cambiare il nome in Montero. Tutto quello che era stato fatto fino a quel momento è stato buttato via. Doppie spese, pessimi risultati.
Qualcosa di simile è accaduto anche alla Buick, un’altra casa automobilistica. La loro Buick Regal è stata rinominata Buick Lacrosse per il mercato Usa e quello canadese. Per gli Stati Uniti tutto bene, per il Canada una semplice intervista a un gruppo di ipotetici consumatori ha fatto scoprire che in Quebec “lacrosse” significa “persona giovane che ama autogratificarsi sessualmente”.
Tutto da rifare. Anche i giapponesi della Honda sono caduti in errore: la Honda Jazz, nel 2001, doveva chiamarsi Fitto: ma in svedese Fitto significa “genitali femminili“. Chiudiamo con le automobili ricordando che la cara, vecchia Fiat Ritmo in Sudamerica richiamava il significato di ciclo mestruale.
Anche al di fuori del settore automobilistico, i riferimenti più o meno espliciti al sesso sono quelli più frequenti e imbarazzanti: pensate alle associazioni mentali a cui richiamano il wurstel Wudy negli Stati Uniti o Woody il Picchio usato dalla Panasonic (Touch Woody) e così via.
La storia della comunicazione d’impresa è piena di questi esempi di prodotti ritirati dal mercato per problemi legali o perché i loro nomi significavano per i consumatori qualcosa di molto diverso rispetto a quello che aveva pensato l’azienda produttrice.
Un nome efficace serve soprattutto alle piccole aziende
Tutto questo discorso sul nome da dare ai prodotti può sembrare superfluo per la vita di una piccola o media impresa, con un mercato prevalentemente locale e che non ha intenzione di diventare una multinazionale. Può sembrare inutile ma non è così: i ragionamenti che sono alla base della scelta di un nome che ha ambizioni mondiali, si ripetono uguali anche quando l’interesse delle aziende è esclusivamente locale. Può valere per una piccola azienda come per un negozio. E poi chi lo dice che un’azienda è destinata a restare piccola?
I casi di due aziende italiane: Powergen e Sbf
Prendiamo ad esempio una bella azienda italiana, la Powergen Italia Spa, specializzata nella produzione di caricabatterie industriali. Il nome a dominio, scelto per pubblicare il sito web aziendale, in origine era www.powergenitalia.com, che letto in inglese, però, può anche essere interpretato come Power Genitalia, cioè “Rafforza i genitali” o qualcosa del genere.
Per l’azienda, con una forte propensione al mercato estero, è stato obbligatoria una marcia indietro e il cambio verso un più tranquillo (e seo) www.batterychargerpowergen.it.
La globalizzazione, la visibilità mondiale attraverso internet, non sono solo parole. Nessuna azienda nasce come multinazionale: grandi si diventa. Deve averlo pensato anche la Intel, il colosso mondiale dei microprocessori, quello che stiamo usando noi per scrivere e voi per leggere.
Nel 2003, la Intel ha fatto causa ad una piccola azienda napoletana, la Sbf fondata nel 1987, per impedirgli di usare il nome “Genoa Power Inside” ritenuto troppo assonante con il marchio Intel Inside. La controversia si è conclusa nel 2006 con la vittoria di Sbf, è esemplificativa del potere che ha il nome di una marca.
Prendete ad esempio lo Scotch, che si chiama così in tutto il mondo anche se questo non è il nome del prodotto, bensì quello dell’azienda che lo produce. E nonostante sul mercato ci siano ormai migliaia di aziende che producono nastro adesivo, per tutti quello resta lo Scotch.
Un caso esemplare della potenza del naming è anche quello di Xerox che per anni ha combattuto contro l’associazione tra il proprio nome e le semplici fotocopie: Xerox produce sistemi molto evoluti per la gestione dei documenti ed è normale che non volesse questa identificazione con un prodotto di basso costo e rozzo come le fotocopie.
Scegliere il nome giusto
Scegliere un nome efficace è forse l’investimento più a lungo termine che un’azienda possa fare su se stessa. Prima delle campagne pubblicitarie miliardarie, prima dei siti web da 100.000 euro, prima di invadere il mercato con i propri prodotti. Un grande nome può dare forza anche alle campagne di marketing e comunicazione più deboli.
Serve a differenziare l’azienda dai suoi concorrenti, creare un legame emozionale con la marca, ritagliarsi un proprio spazio nelle preferenze dei consumatori.
Molti sono convinti che nomi come Scotch, Coca Cola, Nike, siano il risultato dell’attività di uno stregone delle parole dotato di cappello e bacchetta magica.
Non è così: dietro la scelta del nome giusto da dare ad un’azienda ed ai suoi prodotti, c’è il lavoro di professionisti con specializzazioni diverse.
Linguisti, traduttori, copywriter, grafici, uomini di marketing, legali. Un lavoro fatto di tentativi ripetuti, analisi, interviste, test, ripensamenti e cambi di direzione.
Un lavoro che richiede tempo, i consulenti giusti e la consapevolezza che si tratta di soldi ben spesi. Il nome (azienda, prodotto, dominio) è il presupposto di tutti i vostri progetti di crescita. Perché se pensate che basterà usare le iniziali del vostro cognome o il nomignolo del vostro gatto, per uscirvene, ve lo diciamo subito: non basterà.